Semplicemente Dinho. . .
- Michele Antonelli
- 22 gen 2016
- Tempo di lettura: 7 min
Una storia mozzafiato alle spalle, il sorriso di chi ha sofferto ed è in grado di affrontare le difficoltà e di superare gli ostacoli, di chi è stato in grado di reagire ad una vita che ha deciso di essere troppo crudele. . . Ronaldo de Assis Moreira, Ronaldinho perché nelle partite tra amici era sempre il più piccolo in campo, Ronaldinho anche e soprattutto perché quando esordì nella nazionale maggiore brasiliana di Ronaldo ce n’ era già un altro, il Fenomeno; semplicemente Dinho perché con quel suo sorriso rappresenta la felicità di un bambino che una fortuna in fin dei conti l’ha avuta, quella di fare della sua grande passione un capolavoro, entrando di diritto in quella ristretta crew di fenomeni in grado di imprimere una svolta al gioco del calcio. Perde il padre a 8 anni e a questo punto diventa fondamentale la presenza del fratello Roberto, che diventerà il suo procuratore dopo un grave infortunio che lo vedrà costretto ad appendere gli scarpini al chiodo. Le sue abilità calcistiche furono chiare immediatamente a molti osservatori che iniziarono ben presto a fantasticare sul futuro di quel ragazzino, ad immaginarlo con la maglia numero 10 sulle spalle ad incantare i più grandi teatri del calcio europeo e soprattutto un’intera popolazione con la storica casacca verdeoro della sua nazionale. Andiamo però con ordine. . . Dinho, classe 1980, è già capace a 13 anni di segnare tutti i 23 gol che in una partita permetteranno alla propria squadra scolastica di surclassare l’avversaria di turno; due anni dopo c’è l’esordio nelle giovanili del Gremio e nel 1997 la firma sul primo contratto da professionista con la squadra che gli permetterà di vincere il suo primo titolo, il Campionato Gaùcho del 1999. Tra vicissitudini legali e polemiche avviene, dopo quattro anni, il passaggio al Paris Saint-Germain, in un periodo deludente per il team della capitale francese e contrassegnato dall’ esplosione del Lione, che si porterà a casa ben sette campionati consecutivi a partire dalla stagione 2001/2002. In questo periodo inizia la grande storia d’ amore con la selezione Carioca. Il debutto in nazionale maggiore è datato 26 giugno 1999, in un’annata da ricordare per la conquista della Coppa America con annessa marcatura d’ autore contro il Venezuela nella stessa competizione. Successivamente è tra i protagonisti del mondiale asiatico del 2002 e con la rete decisiva messa a segno nel match contro l’Inghilterra trascina i suoi alla semifinale con la Turchia. La spedizione nippo-coreana è una cavalcata trionfale per i verdeoro, che porteranno a casa il quinto mondiale dopo aver vinto tutte le partite. A finire sulle prime pagine è però Ronaldo, almeno per ora. . . Nel 2003, dopo più di 50 partite e 17 gol in terra francese, c’è il passaggio al Barcellona per 30 milioni di euro. Inizialmente il brasiliano non è un obiettivo dei blaugrana, che decideranno di acquistarlo come “ripiego” soltanto dopo che i Galacticos di Madrid avranno portato al Santiago Bernabeu il cecchino britannico David Beckham. Nella sua prima stagione in Spagna realizza 19 reti e contribuisce alla rimonta della squadra fino al secondo posto nella Liga. La crescita è esponenziale e nel 2004 arriva la prima vittoria spagnola con la Liga anche se rimane l’amaro in bocca per lo scarso risultato ottenuto nel trofeo continentale, con l’eliminazione agli ottavi di finale per mano del Chelsea, altra squadra esplosa nel nuovo millennio. Indimenticabile il suo gol a Stamford Bridge nel ritorno degli ottavi, pura poesia, invenzione e imprevedibilità di un giocoliere che con il pallone tra i piedi può fare quello che vuole. Lo stato di grazia di questo fuoriclasse negli anni spagnoli è imparagonabile: il dribbling è ubriacante, la tecnica è sopraffina, ma soprattutto la testa è quella giusta… Imprendibile per gli avversari, è un incubo per gli allenatori, che dopo averle tentate più o meno tutte per fermarlo hanno capito di trovarsi di fronte alla più classica delle missioni impossibili. L’ immagine più viva del Dinho blaugrana si potrebbe avere paradossalmente guardando gli occhi di un suo avversario, quell’ Iker Casillas estremo difensore dei blancos che il 19 ottobre del 2005 vede la propria squadra perdere il “Clasico” con un sonoro 3 a 0 grazie a due perle del brasiliano. Ecco, per capire il valore di questo campione basterebbe guardare la faccia esterrefatta e attonita di Iker dopo il terzo gol del Barcellona, che insieme al secondo esemplifica al meglio un’imprevedibilità e un tasso tecnico decisamente superiori alla norma. La stagione 2005/2006 sarà da incorniciare, oltre che per la definitiva consacrazione grazie alla conquista del Pallone d’ Oro avvenuta a fine 2005 anche e soprattutto per la vittoria della Champions League in una cavalcata trionfale verso la finale di Parigi contro l’Arsenal di Arsène Wenger, dopo aver mietuto per strada vittime del calibro di Chelsea e Milan. Un altro esempio della straordinaria utilità tattica del “Gaucho” si ha nei due incontri che precedono la finale: di fronte c’è il Milan stellare dell’astro nascente Ricardo Kakà, che sogna di riprendersi in terra francese ciò che in terra turca si è visto clamorosamente scappare per via di un destino incredibilmente beffardo. Due match che sarebbe riduttivo definire equilibrati e risolti da un colpo di genio nella partita di andata. Non si tratta di un gol ma è come se lo fosse: pochi minuti dall’ inizio della seconda frazione, un certo Gennaro Gattuso portato a spasso e palla nel pertugio ad innescare Ludovic Giuly per quello che risulterà essere, a conti fatti, un mancino fatale per i rossoneri guidati da Carlo Ancelotti, che vedranno però quella vendetta comunque compiuta e soltanto posticipata. Champions League in bacheca con annesso titolo di miglior giocatore della competizione e secondo Pallone d’ Oro consecutivo mancato per via di un mondiale, quello tedesco, non proprio memorabile, con i Verdeoro che vedranno sfumare la possibilità di centrare la quarta e storica finale consecutiva nel torneo per via della sconfitta maturata a causa della rete di Thierry Henry nel quarto di finale con la Francia, in una spettacola riedizione dell’ultimo atto del campionato ’98. Le stagioni post-mondiale in blaugrana saranno povere di soddisfazioni per il fuoriclasse di Porto Alegre. Il punto più basso porta la data del 17 dicembre 2006: sconfitta a Yokohama nella finale del Mondiale per Club ad opera della squadra della sua città, l’Internacional del giovanissimo Pato. Il 3 febbraio 2008 disputa la partita numero 200 con il Barcellona al Camp Nou contro l'Osasuna ma questa stagione, la stagione 2007/2008 è un incubo per via di diversi infortuni, l'ultimo dei quali, subito in allenamento il 3 aprile 2008, costinge il Gaucho a uno stop di 6 settimane e a chiudere quindi anticipatamente la stagione. L’ estate di quella stagione darà però una sterzata alla carriera dell’asso brasiliano: il presidente Sivio Berlusconi non fa mistero di volerlo in rossonero, lo sogna con quella maglia . . . e non è il solo! L’ estate del 2008, porta a Milano Ronadinho, coronando il sogno di un intero popolo, quello rossonero per l’appunto. Il brasiliano non è più quello di qualche anno prima, inutile nasconderlo, ma continuerà a regalare magie e a disegnare spettacolo anche nel capoluogo lombardo: rimarrà per sempre indelebile, nel cuore dei tifosi rossoneri il suo primo gol, quello nel derby del 28 settembre contro l’Inter di Josè Mourinho, quando con uno stacco imperioso firmerà l’1 a 0 finale, chiudendo in maniera magistrale un’azione dipanata alla perfezione dal KA-PA-RO, il nuovo trio d’ attacco milanista. L’ avvio con il Diavolo è di quelli scoppiettanti, ma dopo una prima parte di stagione ad alti livelli il calo fisico è vistoso e costringe Ancelotti a relegarlo in panchina più o meno costantemente fino alla fine di quel campionato, che vedrà gli addii di Ricardo Kakà, del capitano Paolo Maldini e proprio di Carlo Ancelotti, condottiero di tante battaglie. Le cose sembrerebbero prendere una piega migliore con l’avvento in panchina di Leonardo, con l’ 80 rossonero al centro degli schemi, punto cardine del celebre “4-2 e fantasia” sostenuto fortemente dal tecnico suo connazionale, ma i risultati non sono esaltanti e a fine stagione c’ è un nuovo cambio alla guida con l’ arrivo di Max Allegri, che sarà capace di centrare il Tricolore al primo colpo facendo vertere il progetto tecnico su un altro campione, Zlatan Ibrahimovic, che in Spagna non è riuscito a trovare la fortuna cercata. Dinho si trova così ai margini con il tecnico livornese: dopo 95 presenze e 26 reti in rossonero, arrivano la cessione e il ritorno in patria nella sessione di mercato invernale. La nuova maglia ha però gli stessi colori, Dinho passa al Flamengo, in un lento decorso che lo vedrà finire successivamente all’ Atletico Mineiro, club con il quale, il 24 luglio 2013 alzerà la Coppa Libertadores grazie al successo ai rigori contro l'Olimpia dopo una gara di andata terminata con il punteggio di 2 a 0 per la squadra di Asunción e quella di ritorno, dopo i tempi regolamentari e supplementari, 2 a 0 per quella di Belo Horizonte; è il primo titolo di campione continentale per l'Atlético Mineiro e il brasiliano grazie a questa vittoria diventa il primo calciatore in assoluto ad aver vinto nel corso della sua carriera il Mondiale, la Coppa America, il Pallone d'oro, la Champions League e la Coppa Libertadores. Dopo quest’ ultima soddisfazione ci sarà l’approdo in Messico al Queretaro e infine una breve esperienza al Fluminense, dove, dopo 7 partite, annuncerà la rescissione del contratto. Attualmente svincolato, corteggiato dal Sion ed eletto giocatore più forte al mondo nell’ormai lontano 2005, la favola di questo campione sembrerebbe essersi conclusa dove tutto ebbe inizio, nella sua patria, in Brasile. Idolo indiscusso di una generazione che non dimenticherà mai le lacrime di gioia di Miguelina, sua madre, al momento della consegna del prestigioso premio assegnato da France Football, lacrime di assoluta felicità nel vedere il coronamento e di un percorso e la realizzazione di un sogno, quello di diventare il più forte di tutti. Eh già, perché i sogni si realizzano. . . basta crederci e dare il massimo ogni giorno, trovando le motivazioni per andare avanti. La motivazione in questo caso ha un posto riservato nel cuore di questo ragazzo dal sorriso d’ oro: papà João, dedicatario della maggior parte delle prodezze del fuoriclasse di Porto Alegre come testimoniato dal segno della croce, dalle mani e dagli occhi volti al cielo dopo ogni opera d’arte realizzata in quel rettangolo verde. Mani al cielo ma non solo. . . la sua Samba è stata tra le esultanze più riproposte nei campi di periferia. Un modo particolare di festeggiare perché per Dinho il calcio è samba e la samba è allegria.

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